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ITHI-GENJIO

Ultimo Aggiornamento: 31/12/2015 12:16
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Sesso: Femminile
31/12/2015 12:16

GENJIOSANZO  [ esterno torre oscura ]E giunse la sera. La sera dell‘ incontro con Ithilbor di Moth. Impossibile non accettare un invito simile, almeno per lui che dal pericolo trae linfa vitale. La sua precedente avventura in queste terre era “ terminata” con un incontro avvenuto in Torre Oscura con Jhane, nel periodo in cui “comandava “ ancora Brandon Allen da quelle parti. Lord Brandon, nemico mai dimenticato dal nordico e probabilmente da nessuno in quelle zone. Era stato il caporazza dei vampiri ad aver chiesto quell’ incontro e, ad onor del vero, aveva scelto la Magione come luogo dell’ appuntamento. Ma lui era il Supremo, non avrebbe mai permesso ad una donna tanto ''gentile di fare tutta quella strada per incontrarlo. Animo gentile e cervello da Padello, che terribile cliché. La donna si era presentata come “ex” Ductor del Caos, Genjio non aveva motivo di non crederle o semplicemente non aveva voglia di sbattersi per conoscere la verità, fatto sta che non aveva chiesto ne cercato informazioni su di lei e su quella tanto scomoda quanto terribile rivelazione. La precauzione però è sempre d’ obbligo , suo padre lo ripeteva più volte al giorno, ed ecco spiegato il suo abbigliamento :armatura nera, splendida se mi permettete , spada lunga dello stesso colore sul fianco sinistro, bastarda su quello destro, scudo medio che si poggia sulla schiena. E poi lui, il Medaglione del Drago, quell’ oggetto bellissimo che ricade divinamente sul petto ed aumenta a dismisura il suo ego enorme, giusto per usare un eufemismo. Lo sguardo si porta in alto osservando la torre oscura in tutta la sua interezza e maestosità , percorre ogni metro dall’ alto verso il basso per poi arrivare in fondo e poggiarsi sulla mano destra, quella che stringe con forza il suo lasciapassare verso l’ inferno: la missiva scritta da Ithilbor. La mancina si alza e si avvicina all’ alto portone d’ ebano. Toc Toc, il Supremo è arrivato Moglie dei Moth, stenderai il tappeto rosso delle grandi occasioni o affilerai le tue zanne?

ITHILBOR [*§*Atrio*§*] Un gioco d'ombre. Con la loro consistenza eterea, le prime abitanti della Torre creano drappi e con le stesse sembrano vestirti. La realtà è un'altra, eppure. A coprire vergogne che come tali non percepisci c'è un capolavoro di pelle che Ringil ha creato con la sua sapienza: l'ultimo, prima di lasciare queste terre. E tu sei tornata a indossarlo in questa precisa occasione, in una notte in cui i fiocchi di neve cadono da un cielo misericordioso, che con quel candido dono pare voler mondare parte delle colpe della cittadina. La cintola regge il peso di Diamante, la sua lama tornata alla lucentezza di un tempo, dopo aver portato con sé il segno del passaggio di molte vite, l'ultima delle quali proprio quella di colui che della Magione fu il Primo tra i Cavalieri. I capelli sono raccolti in un generoso chignon, privando il viso di qualsivoglia intrusione. Avvinto dalla vanità mortale, mostra i tratti nordici che furono i tuoi: una distesa di candore, tinte rosee appena accennate sulle guance, nemmeno il freddo dell'esterno facesse ancora fortuna nel tuo corpo. È silenzio, ancora. Gli spiriti non cantano il loro eterno lamento, i cuori non battono, la bestia tace. E tu, sentinella del Nero Obelisco, te ne stai in piedi nella tua posa perfetta, dritta come un fuso, una guerriera avvolta nel gelo dell'attimo che precede la battaglia. Ci si chiederebbe come mai Ithilbor dei Moth abbia indossato panni che parevano dimenticati, dismessi in favore di quelle vesti modeste e di piedi scalzi. Ci si chiederebbe come mai abbia deciso di avvalersi della compagnia di acciaio, decidendo di mettere da parte quello che fu il primo insegnamento di colui che la fece: “tu sei l'arma migliore”. Precauzioni? Apparenze? Gioco. Lo stesso che ti vede tracciare con lo sguardo la runa che schiude l'accesso del nero obelisco, una e più volte: come se ingannassi in questo modo assurdo un'attesa di cui non senti la tensione, l'emozione. Poi tuona un colpo di tamburo: ed annuncia l'inizio di una battaglia che, in primis, combatterai contro te stessa, contro la Sete. Adesso che la Furia riemerge dal silenzio con un ringhio profondo; adesso che la sua dirompenza sembra voler squarciare una pace fin troppo fittizia. Adesso che a un cuore che batte si unisce un profumo. E una richiesta di accesso. Il tuo passo non esita. Il Controllo imbraccia la sua arma [Volontà II] e gli stivali conquistano e calpestano la distanza che ti separa dal portone. Stavolta è la mano – la sinistra, la mano del cuore e dell'orgoglio – a tracciare con precisione maniacale i contorni di Othila, affinché il varco possa essere schiuso. E la apri, quella dannata porta: lasciando che la luce della luna ti conceda la carezza di un bagliore, illuminando occhi privi di vita, contraddistinti dal colore di un cielo gonfio di nubi. È così che ti vedrà: una ragazzina che gioca a far la guerriera, con quel corpo esile come giunco che non par in grado di reggere l'arma che si porta dietro, figuriamoci di imbracciarla in battaglia. Così che ti vedrà, senza medaglione al collo: ché l'atteggiamento fiero e composto e l'aura di magnificenza che la tua Antichità sprigiona bastano a presentare la tua autorità. In quella casa, di certo. In quella cittadina, probabilmente. *§*Dia Abar, Cavaliere. Benvenuto nella mia dimora. Entra e lascia un po' della felicità che porti con te*§* E gli farai spazio, per agevolarne l'ingresso [tenebra I; veggenza I]

GENJIOSANZO  [ torre oscura ] Si narra che la vita di un guerriero sia fatta per la maggior parte di attesa, e lui guerriero è. Aggiungiamo il fatto che si tratti anche del Cavaliere Supremo, autorità dell' Isola , personaggio che dovrebbe essere dunque abituato a lunghissimi e pallosissimi momenti di meditazione e preghiera presso il Tempio di Avalon, per non parlare delle varie visite ufficiali  alla Regina o a tutte quelle altre cariche di cui ancora non conosce il volto. Eppure il vichingo stenta a farci l' abitudine, quei pochi secondi d' attesa di fronte al gigantesco portone della torre lo indispettiscono. Rumore di passi ed un leggero cigolio, è l' udito il primo senso che permette a Genjio di capire che la sua breve attesa sta per terminare . Si pone mille domande  in quei frangenti, e l' immaginazione vaga libera. Immagina Ithilbor, Ductor del Caos qualche tempo prima, la immagina rude, dura, guerriera, come Leia, nordica conosciuta qualche giorno prima in Bettola. Poi la porte si apre, e la figura che si palesa di fronte è quanto di più diverso potesse immaginare . Una ragazza giovane, abbastanza alta per essere una donna, di certo più alta dell' attuale Ductor del Caos. Le iridi azzurre ne studiano volto e fattezze, con discrezione. Si compiace del suo completo nero in pelle, Bob Kane e Bill Finger le stringerebbero la mano se potessero guardarla. '' Dia Abar '' replica a quel saluto di rimando , increspando le labbra in un flebile sorriso. Nordica anche lei dunque, la cosa non può che renderlo felice. La mano destra si  posa sul pomolo di Elen Verie, la spada dormiente. Un gesto volutamente lento, giusto per non dar adito a fraintendimenti, semplicemente quella spada gli piace, merito della fantasiosa storia di Rastal. '' Sono Lord Von Dest, Cavaliere Supremo '' termina la presentazione. La mano destra va a cercar la mancina di Ithilbor, il suo dorso si poggia delicatamente sotto il palmo  della gemella. Cercherebbe dunque di avvicinarla alle sue labbra per esibirsi in un galante baciamano, le labbra non andrebbero a toccare la pelle morta del caporazza, la sfiorerebbero soltanto, cosi' come vuole la tradizione.

ITHILBOR [*§*Atrio*§*] E se lo sguardo del cavaliere porta con sé la gentile cortesia della discrezione, altrettanto non si potrebbe dire del tuo sguardo. Di quell'educazione non conosci più la seduzione e dell'inganno non ti servi: semplicemente, i tuoi occhi sarebbero insistenti e privi di vergogna, per quanto non intraprendano nessuna perlustrazione di tutto quel mondo sconosciuto che è Lord Von Dest. Si concentrano su quel suo viso da nordico che non concede spazio nemmeno a un seppur flebile dubbio circa le sue origini, tradite dalla maestosità della sua persona. Non importa che egli metta mano alla spada, foss'anche solo per carezzarne l'elsa; non importa ch'egli continui nella sua pomposa presetazione, foss'anche solo per il desiderio di esibire la sua cavalleria e la sua educazione. Importa solo quel gesto: l'unico realmente di rilevanza che il primo tra i cavalieri compie. E non perché il baciamano sappia toccare in un immortale le giuste corde in grado di ricordare cosa fosse l'imbarazzo o la delizia di un tocco che non si realizza veramente, quanto perché, con quel contatto, in un modo del tutto inconsapevole, Genjio dà avvio a una danza ancestrale, vecchia come il mondo. Quella che chiama in causa l'istinto, gli impulsi primordiali di chi donna non è più, ma tra le fiere è la più feroce. Quel tocco è calore: il calore di una vita che più ti appartiene e che, per l'eternità, è destinata a essere la tua ossessione. Quel tocco è più potente del classico “là” che l'orchestra attende per cominciare la sua sinfonia. Ha la dirompenza di un uragano, la seduzione di un bacio, la tragicità di una perdita e la condanna di un'attesa. È quel che spinge la Furia a scagliarsi, prontamente, contro il Controllo, per far sì che quella sentinella possa crollare. È una lotta in cui la Mente non conosce Ragione e tende la sua mano all'Istinto che Ragione non è. Una lotta in cui sei sola, completamente sola con te stessa, a combattere contro i tuoi stessi bisogni, i tuoi stessi desideri. Gli occhi si socchiudono: un battito di ciglia che sembra non volerli svelare più; un gesto che, nella sua semplicità e naturalezza, ha il compito di annegare il desiderio dietro un sipario chiuso e di lasciare spazio, ancora, solo a quel cielo gonfio di nuvole. Sono i tuoi occhi grigi che ancor lo scrutano quando le palpebre si sollevano. È la tua mano il centro nevralgico attraverso il quale il suo calore si spande nel tuo corpo freddo: senza mai sconfiggerlo, senza mai minacciarlo realmente. Il capo si muove impercettibilmente, nell'accenno di un muto ringraziamento per quella cortesia. E poi sono ancora le labbra a schiudersi, le stesse labbra che non conoscono nemmeno l'accenno di un sorriso imbarazzato. La voce che a lui giunge ha in sé del soave e del terribile: si potrebbe desiderarla per annunciare la più lieta tra le novelle e la più dolce tra le minacce. Ha il calore dell'accoglienza e il gelo delle terre che ti diedero i natali. Una contraddizione continua, come quella sensazione che il Supremo non può non provare al cospetto della Prima della Notte: il desiderio di conoscerti e lasciarsi affascinare e l'urgenza di fuggire via, il più lontano possibile. Quale delle due vie sarà quella che seguirà l'eletto? *§*Accomodati. Sarai stanco del lungo viaggio. O un prode cavaliere non conosce stanchezza?*§* Non c'è ironia in quel tuo dire, affatto. C'è l'ombra di una latente curiosità, la stessa che si leggerebbe in quegli occhi ridenti di giovinezza e disincanto che non smetterebbero di cercare i suoi [tenebra I; veggenza I]

GENJIOSANZO   [ atrio ] Il vichingo non può aver la minima idea di quale assurdo meccanismo o desiderio abbia fatto scattare nel vampiro. Quello che riesce a percepire è una strana sensazione di disagio, di fastidio, una sensazione incomoda dovuta al suo tono di voce . Specularmente ad essa il vichingo inizierebbe a sentirsi a proprio agio, vivrebbe una sorta di comodità interiore, come se la voce del Caporazza avesse la capacità di dargli conforto, di provocare uno strano senso di benessere. Sarebbe combattuto il Supremo, fuggire o restare? Nemmeno lui saprebbe motivare il perché di quelle sensazioni che lo avvolgono e lo confondono. Nel frattempo la Signora della Torre si pronuncia, invitandolo ad entrare. Una sorta di molla scatta all’ interno della sua Mente, non può e non deve abbandonare quel luogo, nemmeno vuole abbandonarlo in realtà. “ Grazie mille Milady ….“ spezza volontariamente la frase, invito implicito alla donna di rivelar il proprio nome. Lei non ha chiesto di mostrare alcuna missiva come lasciapassare, può dunque immaginare che si tratti di Ithilbor Moth, ma non può esserne sicuro. Le labbra si increspano in un sorriso che ad ella dona, continuando a proferir verbo in risposta alla sua domanda “ tutti conoscono la stanchezza , anche il Primo tra i Cavalieri “ , anche i Vampiri ? Forse loro no. Il tono è cordiale ma distaccato. La missiva



I knew all the rules but the rules did not know me
guaranteed..





Grazie Serafin *_*
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